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Psicologia generale

Quanto ci influenza il modo di pensare?

By 18 Gennaio 2018Gennaio 22nd, 2018No Comments

di Chiara Paterlini

Gli uomini non hanno paura delle cose in sé e per sé, ma del significato che attribuiscono a esse.

Questa citazione sintetizza con estrema chiarezza il ruolo che i nostri pensieri hanno nella vita di tutti i giorni. Già nell’Antica Grecia, infatti, gli eventi di vita venivano considerati neutri da un punto di vista emozionale, e colorati dall’uomo con tinte del tutto soggettive e uniche. Possiamo riconoscere in queste tinte il nostro modo di pensare e le nostre convinzioni, che hanno un fondamentale ruolo nell’influenzare emozioni e comportamenti. Sono Convinzioni che riguardano noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda, a partire dalle quali si creano delle interpretazioni della realtà. Il ruolo di tali credenze è così centrale che può capitare di trovarsi di fronte a delle discrepanze tra una reazione emotiva e l’evento che l’ha scatenata. Del resto, a parità di situazioni che sono in sé e per sé neutre, ognuno di noi reagisce con modalità estremamente diverse tra loro. Queste diversità sono prodotte dal significato che ciascuno attribuisce a quell’evento.

Ogni persona, chi più chi meno, legge le proprie esperienze attraverso alcuni filtri. Questi filtri altro non sono che convinzioni/pensieri, possono essere irrazionali e deformanti e perciò ci rendono incapaci di valutare in modo sereno e obbiettivo una situazione. Solo a distanza di tempo, con maggior calma e distacco, ci chiediamo come abbiamo potuto reagire in quel modo, come abbiamo potuto pensare quella cosa. Questi filtri sono del tutto automatici, si attivano in modo rapido senza particolari sforzi, sono difficili da scacciare e nel tempo si cristallizzano in modi di pensare inconsapevoli in grado, come si diceva pocanzi, di influenzare il modo in cui ci sentiamo e ci comportiamo. Come per la vista, se apponiamo una lente davanti agli occhi della mente (cioè il nostro modo di vedere il mondo), la loro percezione sarà deformata e distorto sarà il in modo in cui vediamo noi stessi, gli altri e le future situazioni. Questi filtri possono dunque essere considerati dei preconcetti, che ci mettono nella condizione di dare per scontato che le cose vadano in un certo modo. La lente che utilizziamo ci porta a valutare in maniera sbagliata una certa situazione, innescando poi una sequenza di emozioni e comportamenti inadeguati.

Queste dinamiche possono diventare pervasive e invalidanti quando “intaccano” la maggior parte delle aree di vita di una persona e diventano più importanti e centrali di qualunque altra cosa, al punto da avere delle conseguenze negative sulle proprie abitudini e attività, che ne risulteranno modificate. Possiamo solo accennare, in questa sede, ai comportamenti ossessivo-compulsivi, alla base dei quali un pensiero o convinzione è così intenso (ossessione), che il comportamento necessario per attenuarne la “forza” deve necessariamente essere messo in atto (compulsione), altrimenti non ci sarà via di scampo se non quella di uno stato di estrema ansia e di pensieri catastrofici.

Nell’ambito di un intervento terapeutico, con l’obiettivo di neutralizzare gli “occhiali” a cui la persona fa ricorso, è efficace far confrontare alla persona stessa la sua reazione con la situazione così com’è capitata. Si evidenzia, cioè, come la reazione non sia stata proporzionale all’evento. Tale lavoro determina di per sé un principio di cambiamento e consente di approfondire e comprendere il motivo per cui quella persona legge quella situazione in quel modo. Va sottolineato, ancora una volta, che il significato che una persona attribuisce a una data situazione è del tutto soggettivo, pertanto esso è unico come la persona stessa.

Come si diceva, in alcune circostanze critiche o problematiche, ognuno di noi reagisce in modo automatico e inconsapevole, reazioni che possono diventare esse stesse parte del problema. A volte siamo scontrosi e riluttanti nel confronti di osservazioni fatte dai nostri amici o familiari. In buona sostanza non vediamo dove sia il problema. Il fatto di cogliere quali siano le nostre risposte inadeguate innesca un piccolo cambiamento, poiché riconoscerle implica in sé il tentativo di creare qualcosa di diverso all’interno della stessa situazione. Il lavoro dello psicoterapeuta aggiunge un pezzetto, l’esplicita verbalizzazione delle risposte inadeguate. Il fatto di dire quali sono state queste risposte, di dare a esse un nome, permette di comprendere meglio i pensieri ricorrenti del paziente, degli eventuali comportamenti problematici e dei fattori scatenanti il problema. A volte bisogna solo riconoscere che non serve respingere le osservazioni che vengono dall’esterno.  Probabilmente occorre accettarle e in alcuni casi accettare di farsi aiutare. Questo non significa riconoscere di avere qualcosa che non va, piuttosto togliersi gli occhiali dal naso e osservare la realtà insieme a qualcuno che ci sappia dirigere verso nuove e adeguate strategie di pensiero.