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di Barbara Fariello

La celiachia è una malattia multifattoriale. Un ruolo molto importante ce l’ha la genetica: tutti i celiaci presentano una predisposizione genetica caratteristica, determinata dalla positività per gli antigeni di istocompatibilità. Perché la celiachia si sviluppi, è necessario che sia presente almeno uno di questi antigeni, ma questo determina solo una predisposizione genetica.

Oltre a questo, intervengono dei fattori ambientali che comportano lo scatenamento della celiachia. Fra quelli che oggi conosciamo, ci sono le infezioni intestinali, alimentazione, gli stress e la gravidanza.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una vera e propria “epidemia” di celiachia.
Innanzitutto bisogna dire che ha inciso notevolmente il miglioramento delle capacità diagnostiche.
Senz’altro, però, l’espansione della celiachia è stata spinta anche da altre cause. Fra queste, c’è la diffusione della dieta mediterranea in tutto il mondo. Questo spiega perché in Paesi come la Cina e il Giappone – in cui si credeva che la celiachia non esistesse – con la globalizzazione e la diffusione dei fast food c’è stata una vera e propria esplosione di celiachia. A queste cause, si aggiunge il cambiamento che si è verificato nei cereali e la riduzione dei tempi di lievitazione nei prodotti da forno. Si tratta di un fattore che contribuisce a elevare il contenuto di glutine in questi alimenti. Oggi tutto viene prodotto in un’ottica di riduzione dei tempi di lavorazione.

Il glutine non è un alimento nocivo. È chiaro che in tutti i soggetti se il glutine viene introdotto in quantità elevatissima può determinare alterazioni della parete intestinale. Tuttavia, se un soggetto non presenta celiachia o sensibilità al glutine è inutile che rinunci a cereali contenenti glutine. Non si tratta di cereali essenziali per la nostra alimentazione, ma non c’è motivo di andare incontro a una dieta restrittiva se non si ha una sintomatologia particolare.

E lo stress? Sembra giocare un ruolo importante nel slatentizzare la celiachia. Un trauma, la gravidanza o una forte attivazione emozionale spesso inducono all’esordio concomitante e appena successivo della celiachia. Studi di neurogastroenterologia hanno evidenziato una stretta relazione tra stress fisiologico e/o fisico e una alterata funzione barriera della mucosa intestinale.

Emerge dunque che la celiachia è il risultato di complesse interazioni fra una moltitudine di fattori endogeni, esterni ed ambientali. Non è dunque necessaria solo l’esposizione al glutine.

Ma a livello psicologico questa intolleranza a cosa porta?

Esiste un legame tra ansia e celiachia. Una persona con disturbi intestinali come nausea, diarrea, gonfiore, si trova per esempio a fare un semplice test di intolleranze alimentari. Magari il risultato è un’eccessiva quantità di gliadina deaminata nel sangue, che ancora non vuol dire nulla, ma solo un sospetto di celiachia, ma ripeto, solo un sospetto. La fase successiva sarà una gastroscopia con 3 biopsie. Il risultato mediamente arriva dopo 20 giorni/ un mese. Qualsiasi persona durante l’attesa così lunga di una diagnosi, cosa proverà? Ansia!

Dopo la diagnosi, inizia il riassestamento della propria vita, e allora troviamo due tipi di persone, chi dopo anni di sofferenze intestinali, finalmente ha dato un volto al proprio malessere, e chi invece ha avuto una celiachia silente.  Il primo gruppo di persone avrà un calo dell’ansia, anzi, forse proprio una liberazione. L’altro gruppo, invece, si troverà costretto nell’iniziare una dieta a vita, quando fino a prima della diagnosi stava benissimo. E qui inizia un altro tipo di ansia.

Quando una persona si trova a vivere questo tipo di ansia, un modo per uscirne è con un buon sostegno psicologico.

La depressione con la celiachia è un discorso a parte, per due motivi. Il primo è che la depressione può essere la conseguenza di una mancanza di resilienza della persona celiaca, a questa nuova condizione.

Nel secondo caso si parla della depressione come conseguenza della celiachia. Nel 1982 alcuni ricercatori svedesi hanno dimostrato come la patologia depressiva fosse dovuta alla celiachia per malassorbimento. E nel 1998 un altro studio ha dimostrato come l’incidenza della depressione in pazienti celiaci adolescenti fosse addirittura del 31%.

Questi studi dimostrano come il problema del malassorbimento tipico del quadro di celiachia, causasse bassi livelli di zinco che a sua volta è collegato alla depressione. C’è da dire che la depressione, dopo una corretta dieta è piano piano rientrata in tutti i pazienti. A questo punto si potrebbe anche dire come a volte, quando una persona è depressa, la vera diagnosi non è la depressione, ma la celiachia. Gli aspetti psicologici legati alle patologie autoimmuni come la celiachia, sono numerosi, ma spesso si osservano situazioni di ansia e depressione. Entrambe dipendono molto dalla capacità della persona di far fronte al nuovo cambiamento nell’alimentazione, unica terapia per la celiachia al momento. Perciò è importante ricevere anche un supporto psicologico, perlomeno all’inizio della malattia.