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Psicologia generale

Depressione

By 20 Ottobre 2017Novembre 3rd, 2017No Comments

di Chiara Paterlini

Quando viene a mancare la voglia di vivere

Una perturbazione dolorosa, più forte di ogni istanza moderatrice del volere.

Questa è una delle tante rappresentazioni dello stato depressivo. Esso può essere considerato come una perdita della forza interna. Per avere maggiore chiarezza, pensiamo alla mancanza d’aria di un pallone sgonfio o alla camera d’aria di una gomma d’auto bucata. Analogamente al pallone o alla gomma che non possono svolgere le loro funzioni, rimbalzare o avere una buona aderenza al manto stradale, la persona depressa non reagisce come la persona non depressa agli stimoli provenienti dall’ambiente, poiché il suo organismo è dotato di una carica energetica inferiore, talvolta assente. Questa diminuzione di carica porta a una riduzione, se non addirittura alla perdita, della capacità di sentire il proprio mondo interno (emozioni, pensieri, affetti) e a una conseguente riduzione o perdita dell’espressività e dell’attività. Viene cioè meno quella forza che permette di muoversi verso l’esterno. In tal senso, lo stato depressivo è una sorta di collasso interno.

La depressione non è tristezza

L’incapacità di rispondere distingue lo stato depressivo da ogni altra condizione emozionale simile. Considerando che la peculiarità di tale stato è la repressione- non intenzionale- dell’emozione, esso non può essere considerato un’emozione. La depressione infatti è l’assenza di emozione. Motivo per cui essere depresso non equivale al sentirsi tristi. Questo è un errore che sovente si fa, così come pensare che la depressione sia un sentimento – una persona si può sentire triste o malinconica, ma non si sente depressa. Difatti tristezza e melanconia sono dei sentimenti perché, quando insorgono, comportano una risposta all’ambiente. La depressione, come ci dicevamo, no… Tristezza e malinconia dunque, anche se stati emozionali negativi, mantengono quella vitalità che ci attiva di fronte ad avvenimenti che le hanno scatenate. Nella depressione non c‘è vitalità, l’organismo è statico e pesante, gli occhi sono opachi, senza lucidità ed espressione, in una condizione di blocco energetico. Questo blocco coinvolge, come si diceva pocanzi, anche l’espressione delle proprie emozioni, e tutto ciò che facciamo che ci procura piacere (lavoro, attività sociali, culturali e ricreative gratificanti).

Dunque, depressione equivale alla perdita di energie e di vitalità, in buona sostanza di voglia di fare. A pensarci bene, sono depresse le principali funzioni dell’organismo: diminuzione di movimento, di gesti spontanei, mancanza di mimica facciale, diminuzione dell’eloquio, riduzione dell’attività respiratoria e conseguente diminuzione dell’apporto di ossigeno ai tessuti.

Per chi non ha mai sperimentato episodi depressivi, stati anche ben più lievi di questo sembrano del tutto incomprensibili. Non solo, anche chi ne è affetto è spesso consapevole di quanto sia irrazionale la propria visione, ma non riesce comunque a sottrarsi. Per dirla con le parole di un autore russo “tutte le persone felici sono felici allo stesso modo, ogni persona infelice è infelice a modo suo”. Si intende dire che, come la persona triste esprime il proprio stato emotivo con modalità uniche e diverse da quelle degli altri, anche le persone depresse possono, in certa misura manifestare alcuni aspetti piuttosto che altri: scoppi di collera, scarso appetito, disturbi del sonno, ansia. Al di là di queste sfumature, esistono dei comuni denominatori. Uno, la vitalità al quale abbiamo già accennato, l’altro, la solitudine. Sebbene la depressione sia un’esperienza comune, per chi ne soffre è qualcosa di unico che erige un muro tra sé e il mondo dei non depressi.

Il darsi da fare non è la soluzione

Un errore che si fa, senz’altro in buona fede, con le persone affette da depressione è sollecitarle a reagire. Nella depressione c’è una fissità dello stato di dolore che non è influenzabile dalla volontà. “Più forte di ogni istanza moderatrice del volere”. Ciò che viene a mancare è proprio la volontà. Perciò, il sollecito del “rimboccarsi le maniche” e i pensieri ottimisti non saranno comprensibili per la persona depressa, e dunque non fruibili. È necessario considerare che la depressione non è la tristezza e il suo contrario non è la felicità, ma la vitalità. Distinguere depressione e tristezza – ma anche malinconia, blues, spleen, lutto – è essenziale: la tristezza è un’emozione fisiologica con una funzione adattativa importantissima, che ha una durata limitata nel tempo; la depressione è una condizione totalizzante e si traduce in un generale rallentamento, fisico-cognitivo-emotivo. I gesti quotidiani più semplici diventano estremamente impegnativi- andare al lavoro, farsi la doccia, alzarsi dal letto e lavarsi i denti. È come se ognuna di queste azioni si scomponesse nelle sue parti più piccole, come i tasselli di un puzzle, tutte con un proprio peso specifico e dispendiose di energia. Ancor più, tutte senza senso.

Il piacere come fattore protettivo

Per mantenere un’ideale stato di salute psicofisica è fondamentale coltivare un’area di piacere. Gli hobby e gli interessi, scelti in base alle proprie autentiche inclinazioni, ci aiutano a realizzare il processo creativo ed espressivo che ci conferisce quella vitalità, quello stato di completezza e di benessere psicofisico. Con ciò non si intende dire che la persona depressa deve coltivare degli interessi per guarire. Questa non è una verità immediata né assoluta. Si tratta chiaramente di un percorso lungo e graduale, nel quale acquisiscono grande importanza gli strumenti della psicologia e della psicoterapia. Essi, in generale, consentono di capire meglio noi stessi e il nostro funzionamento nel mondo, alla luce delle esperienze passate e degli avvenimenti attuali. A piccoli passi arriviamo a prendere contatto con le nostre sensazioni corporee, i nostri pensieri e le nostre emozioni. Non da ultimo, ci consentono di comprendere il nostro rapporto con il piacere, tema sconosciuto per le persone depresse.

Occorre probabilmente accettare di farsi aiutare, che significa accettare di guardare la realtà insieme a qualcuno che ci sappia dirigere verso nuove, magari piccole sorgenti di vitalità.